La luce, quel giorno, era strana, sembrava che un
lampo avesse illuminato il cielo e si fosse dimenticato di andare
via; erano da poco passate le sette di sera e ad Aprile di solito
avrebbe dovuto già essere buio.Quel giorno sembrava essere un
giorno speciale, il primo dei giorni a venire e qualcosa di
particolare doveva accadere , lo sentivo,lo sentivo dentro.
Lui era lì inerme ,come ogni giorno da parecchio tempo ormai; disteso sul suo letto in quell'ospedale che oramai era diventato la sua casa. I suoi amici erano , ormai da parecchio tempo, i medici e le infermiere che si prendevano cura di Lui.
C'era anche Lei veniva ogni giorno, doveva essere un'infermiera, Andrea non la vedeva mai bene, quella condizione era tale per cui molte delle cose attorno apparivano offuscate e mai nettamente distinte, Lei non sembrava essere giovane il suo volto aveva qualcosa di particolare che non riusciva a scorgere e definire, la sua voce era...era così dolce e avvolgente, un suono caldo e penetrante che lui ascoltava ogni giorno...almeno per quanto ricordasse.
Lei arrivava di sera, si sedeva accanto al suo letto e cominciava a raccontare la storia della sua giornata, ogni sera lei era lì, Andrea non capiva molto di quello che diceva, non aveva imparato ad ascoltare con attenzione , quello che gli importava e che lo rendeva felice era il suono magico e indefinibile ,la melodia della sua voce; poteva quasi vederla espandersi nell'aria ,il suono aveva un corpo che, meravigliosamente lo avvolgeva a sé.
Andrea, aveva imparato ad attenderla, non gli importava nulla della sua età o del suo aspetto fisico, aveva imparato a riconoscere la sua voce, le sue storie che di giorno in giorno aveva imparato ad ascoltare, a condividere anche in quei pochi spezzoni di frasi che riusciva ad afferrare, era lì in attesa anche quella sera, quella sera in cui il cielo era una vetrina vestita a festa; non poteva fare altro che aspettarla. Non sapeva da quanto tempo era in coma su quel letto ; lui riusciva a vedere sé con tutti quei tubi che lo ancoravano alla vita , quella maledetta vita che qualcuno aveva scelto per lui. Ogni giorno sempre uguale , il suo spirito non riusciva a staccarsi da quel corpo inerme. Quell'ospedale era diventato tutta la sua vita. Ogni tanto riusciva a staccarsi dal suo corpo per brevi passeggiate, aveva visto morire tanti , uomini,donne,bambini; assisteva al loro dolore alle loro sofferenze. Vedeva la luce attorno al loro corpo divenire piano piano sempre più chiara; dall'oscurità della sofferenza virare nettamente alla luce viola della conoscenza (sapeva che era così), un viola che , quando era in vita, non aveva mai osservato. Quello che era più affascinante era la luce che veniva dai bambini, una luce di tale intensità che per una frazione di secondo illuminava tutto attorno era lì che lui riusciva a distinguere nettamente tutto quello che era attorno; non riusciva a capire come nessuno , tranne lui riuscisse a vedere quella luce; forse , pensava, in questa condizione esistono dei sensi che i vivi non hanno. Lui si definiva un non vivo, un non autonomamente respirante, un semi morto,qualcosa che non era o non era ancora.
Ogni tanto aveva scorto delle ali, che sorreggevano le luci che venivano fuori dai morti; aveva pensato potesse trattarsi di un angelo, uno di quelli che aveva visto qualche volta nei quadri.
Lui non era mai stato un credente; pensava che il mondo finiva nel momento in cui si muore, adesso aveva capito, intuito, che non era così.
Deve esserci qualcosa dopo la morte, se no non si spiegherebbe questa non vita; lui non sapeva cosa non ancora.
Lui era rimasto in quel luogo, non sapeva quanti anni, non sapeva perché. Una volta aveva paura della morte adesso si era reso conto che la morte è solamente un passaggio, anche se non sapeva dove, del resto le luci, tutte le luci che vedeva scaturire dai corpi erano sempre di colori vivi e vivaci, bellissime. Non aveva mai visto delle luci nere o sentito odore di zolfo o altro, solo luce . Stanotte lui era lì, non sapeva se dietro o davanti alla finestra ed osservava quel cielo, quel cielo color perla.Ad un tratto vide, un lampo che accese ancora di più quel cielo e, improvvisamente un tuono, tutto attorno si sviluppò un temporale, la pioggia cadeva da quelle nuvole di perla, fitta, incessante, passava attraverso al suo corpo e capì che era fuori dalla finestra, sospeso nel cielo come appuntato; sentiva, stranamente, l'energia di quella pioggia scorrergli attraverso, si guardò le mani e vide che le sue mani, le sue braccia ed il suo corpo avevano il colore del cielo . Gli era capitato altre volte di essere in mezzo alla pioggia ma quella era la prima volta che la sentiva scorrergli attraverso e che vedeva il suo corpo...risplendere. In quel momento la sentì, la sua voce dolce, accattivante , avvolgente, era certo che quella fosse l'unica cosa che lo teneva lì. Di nuovo un lampo, questa volta la vide con chiarezza, la luce aveva sciolto la foschia del suo sguardo; la vide come se fosse la prima volta, era Lei, la donna che aveva sempre amato, quella donna con cui aveva diviso la sua vita, la madre si suo figlio. Adesso riusciva a vedersi nel suo letto, distintamente, il suo volto era pieno di rughe; dovevano essere passati anni da quell'incidente e lei era stata sempre lì , accanto a lui ogni sera, anche lei segnata dalla vita che scorre. Andrea cominciò a piangere, sentiva i monitor che tenevano sotto controllo la sua quasi vita battere all'impazzata, la vide alzarsi veloce e premere il campanello con foga, con paura e forse con speranza. I medici, quelli che aveva imparato a riconoscere, si avvicinavano su lui, sempre più vicini, posero due piastre metalliche sul suo corpo e mentre uno di loro batteva sul suo petto con forza li sentiva, concitati, sofferenti, come se qualcosa stesse accadendo a qualcuno di caro, almeno così sperava di essere per loro
-Libera, libera che lo perdiamo-
Li vide armeggiare con apparecchiature e siringhe; armeggiare affannati con quegli organi metallici che, fuori da lui, gli permettevano di restare in vita. In un momento non si trovava più là, rivisse la sua vita, la sua nascita , i primi pianti, i sorrisi. Rivide lei, il giorno del suo matrimonio, suo figlio, il figlio che non aveva mai più rivisto dal giorno dell'incidente. Tornò indietro in quella stanza ora suo figlio era lì, lo riconobbe,era uno dei suoi medici, quello che aveva le lacrime agli occhi, quello che lottava con più forza. Ora ricordò o seppe, Enrico sempre stato lì, accanto a lui, per questo che era diventato prima infermiere e poi medico volontario: Sì, adesso lo sapeva, anche se non capiva come, adesso lui SAPEVA tutto, ogni cosa. Tutto fù chiaro, rivide l'incidente come se fosse in un film ,era nella sua auto che ascoltava il suono di quel pianoforte alla radio, il colpo di sonno , il camion l'urto, il suono del metallo che si piegava, che entrava nelle sue ossa; la sua voce ferma, bloccata nella gola; l'urlo del camionista; tutto accelerato, l'ambulanza e i medici sopra di lui ; tutto era lì, nella sua mente non un ricordo ma come se fosse vivo, reale.
-Ciao Andrea, adesso è arrivato il momento- si voltò e lo vide, il suo volto di luce il suo sorriso, capì che era giunto il momento di tornare nella spirale dell'universo. Si avvicinò al figlio che , disperato continuava a battere il suo petto mentre tutti si erano fermati, lo trattenne per la spalla sussurrandogli "grazie", lo vide fermarsi.
Si avvicinò alla moglie,seduta su quella sedia, le carezzò il volto e la vide girarsi verso di lui e sorridergli- Addio Amore- la sua voce calda lo avvolse di luce.
Lei lo sapeva, aveva sempre saputo che lui era stato sempre lì, adesso era pronta per lasciarlo andare.
Si voltò verso Azrael - Ora sono pronto, possiamo andare.
Io ero lì ,ero sempre stato lì accanto a Lui a guardare dalla tastiera del mio computer, nel riflesso di questo cielo di perla tutto quello che successe come nella palla di vetro di una chiromante. Era come se qualcuno me lo avesse inviato per osservare per scriverlo; per fare in modo che Andrea vivesse per sempre.
Il cielo era di perla quella notte e nel mondo qualcuno visse un'esperienza straordinaria .
Alfio
Lui era lì inerme ,come ogni giorno da parecchio tempo ormai; disteso sul suo letto in quell'ospedale che oramai era diventato la sua casa. I suoi amici erano , ormai da parecchio tempo, i medici e le infermiere che si prendevano cura di Lui.
C'era anche Lei veniva ogni giorno, doveva essere un'infermiera, Andrea non la vedeva mai bene, quella condizione era tale per cui molte delle cose attorno apparivano offuscate e mai nettamente distinte, Lei non sembrava essere giovane il suo volto aveva qualcosa di particolare che non riusciva a scorgere e definire, la sua voce era...era così dolce e avvolgente, un suono caldo e penetrante che lui ascoltava ogni giorno...almeno per quanto ricordasse.
Lei arrivava di sera, si sedeva accanto al suo letto e cominciava a raccontare la storia della sua giornata, ogni sera lei era lì, Andrea non capiva molto di quello che diceva, non aveva imparato ad ascoltare con attenzione , quello che gli importava e che lo rendeva felice era il suono magico e indefinibile ,la melodia della sua voce; poteva quasi vederla espandersi nell'aria ,il suono aveva un corpo che, meravigliosamente lo avvolgeva a sé.
Andrea, aveva imparato ad attenderla, non gli importava nulla della sua età o del suo aspetto fisico, aveva imparato a riconoscere la sua voce, le sue storie che di giorno in giorno aveva imparato ad ascoltare, a condividere anche in quei pochi spezzoni di frasi che riusciva ad afferrare, era lì in attesa anche quella sera, quella sera in cui il cielo era una vetrina vestita a festa; non poteva fare altro che aspettarla. Non sapeva da quanto tempo era in coma su quel letto ; lui riusciva a vedere sé con tutti quei tubi che lo ancoravano alla vita , quella maledetta vita che qualcuno aveva scelto per lui. Ogni giorno sempre uguale , il suo spirito non riusciva a staccarsi da quel corpo inerme. Quell'ospedale era diventato tutta la sua vita. Ogni tanto riusciva a staccarsi dal suo corpo per brevi passeggiate, aveva visto morire tanti , uomini,donne,bambini; assisteva al loro dolore alle loro sofferenze. Vedeva la luce attorno al loro corpo divenire piano piano sempre più chiara; dall'oscurità della sofferenza virare nettamente alla luce viola della conoscenza (sapeva che era così), un viola che , quando era in vita, non aveva mai osservato. Quello che era più affascinante era la luce che veniva dai bambini, una luce di tale intensità che per una frazione di secondo illuminava tutto attorno era lì che lui riusciva a distinguere nettamente tutto quello che era attorno; non riusciva a capire come nessuno , tranne lui riuscisse a vedere quella luce; forse , pensava, in questa condizione esistono dei sensi che i vivi non hanno. Lui si definiva un non vivo, un non autonomamente respirante, un semi morto,qualcosa che non era o non era ancora.
Ogni tanto aveva scorto delle ali, che sorreggevano le luci che venivano fuori dai morti; aveva pensato potesse trattarsi di un angelo, uno di quelli che aveva visto qualche volta nei quadri.
Lui non era mai stato un credente; pensava che il mondo finiva nel momento in cui si muore, adesso aveva capito, intuito, che non era così.
Deve esserci qualcosa dopo la morte, se no non si spiegherebbe questa non vita; lui non sapeva cosa non ancora.
Lui era rimasto in quel luogo, non sapeva quanti anni, non sapeva perché. Una volta aveva paura della morte adesso si era reso conto che la morte è solamente un passaggio, anche se non sapeva dove, del resto le luci, tutte le luci che vedeva scaturire dai corpi erano sempre di colori vivi e vivaci, bellissime. Non aveva mai visto delle luci nere o sentito odore di zolfo o altro, solo luce . Stanotte lui era lì, non sapeva se dietro o davanti alla finestra ed osservava quel cielo, quel cielo color perla.Ad un tratto vide, un lampo che accese ancora di più quel cielo e, improvvisamente un tuono, tutto attorno si sviluppò un temporale, la pioggia cadeva da quelle nuvole di perla, fitta, incessante, passava attraverso al suo corpo e capì che era fuori dalla finestra, sospeso nel cielo come appuntato; sentiva, stranamente, l'energia di quella pioggia scorrergli attraverso, si guardò le mani e vide che le sue mani, le sue braccia ed il suo corpo avevano il colore del cielo . Gli era capitato altre volte di essere in mezzo alla pioggia ma quella era la prima volta che la sentiva scorrergli attraverso e che vedeva il suo corpo...risplendere. In quel momento la sentì, la sua voce dolce, accattivante , avvolgente, era certo che quella fosse l'unica cosa che lo teneva lì. Di nuovo un lampo, questa volta la vide con chiarezza, la luce aveva sciolto la foschia del suo sguardo; la vide come se fosse la prima volta, era Lei, la donna che aveva sempre amato, quella donna con cui aveva diviso la sua vita, la madre si suo figlio. Adesso riusciva a vedersi nel suo letto, distintamente, il suo volto era pieno di rughe; dovevano essere passati anni da quell'incidente e lei era stata sempre lì , accanto a lui ogni sera, anche lei segnata dalla vita che scorre. Andrea cominciò a piangere, sentiva i monitor che tenevano sotto controllo la sua quasi vita battere all'impazzata, la vide alzarsi veloce e premere il campanello con foga, con paura e forse con speranza. I medici, quelli che aveva imparato a riconoscere, si avvicinavano su lui, sempre più vicini, posero due piastre metalliche sul suo corpo e mentre uno di loro batteva sul suo petto con forza li sentiva, concitati, sofferenti, come se qualcosa stesse accadendo a qualcuno di caro, almeno così sperava di essere per loro
-Libera, libera che lo perdiamo-
Li vide armeggiare con apparecchiature e siringhe; armeggiare affannati con quegli organi metallici che, fuori da lui, gli permettevano di restare in vita. In un momento non si trovava più là, rivisse la sua vita, la sua nascita , i primi pianti, i sorrisi. Rivide lei, il giorno del suo matrimonio, suo figlio, il figlio che non aveva mai più rivisto dal giorno dell'incidente. Tornò indietro in quella stanza ora suo figlio era lì, lo riconobbe,era uno dei suoi medici, quello che aveva le lacrime agli occhi, quello che lottava con più forza. Ora ricordò o seppe, Enrico sempre stato lì, accanto a lui, per questo che era diventato prima infermiere e poi medico volontario: Sì, adesso lo sapeva, anche se non capiva come, adesso lui SAPEVA tutto, ogni cosa. Tutto fù chiaro, rivide l'incidente come se fosse in un film ,era nella sua auto che ascoltava il suono di quel pianoforte alla radio, il colpo di sonno , il camion l'urto, il suono del metallo che si piegava, che entrava nelle sue ossa; la sua voce ferma, bloccata nella gola; l'urlo del camionista; tutto accelerato, l'ambulanza e i medici sopra di lui ; tutto era lì, nella sua mente non un ricordo ma come se fosse vivo, reale.
-Ciao Andrea, adesso è arrivato il momento- si voltò e lo vide, il suo volto di luce il suo sorriso, capì che era giunto il momento di tornare nella spirale dell'universo. Si avvicinò al figlio che , disperato continuava a battere il suo petto mentre tutti si erano fermati, lo trattenne per la spalla sussurrandogli "grazie", lo vide fermarsi.
Si avvicinò alla moglie,seduta su quella sedia, le carezzò il volto e la vide girarsi verso di lui e sorridergli- Addio Amore- la sua voce calda lo avvolse di luce.
Lei lo sapeva, aveva sempre saputo che lui era stato sempre lì, adesso era pronta per lasciarlo andare.
Si voltò verso Azrael - Ora sono pronto, possiamo andare.
Io ero lì ,ero sempre stato lì accanto a Lui a guardare dalla tastiera del mio computer, nel riflesso di questo cielo di perla tutto quello che successe come nella palla di vetro di una chiromante. Era come se qualcuno me lo avesse inviato per osservare per scriverlo; per fare in modo che Andrea vivesse per sempre.
Il cielo era di perla quella notte e nel mondo qualcuno visse un'esperienza straordinaria .
Alfio
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